Procedimento disciplinare: per “procedimento penale”, ai fini della interruzione del proc. disciplinare, si intendono anche le fasi delle indagini preliminari – Cons. Stato sent. nr. 115/07 del 28.11.2006

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Ultimo aggiornamento 22/07/2013

Procedimento disciplinare: per “procedimento penale”, ai fini della interruzione del proc. disciplinare, si intendono anche le fasi delle indagini preliminari. Il Consiglio di Stato ha, infatti, stabilito che la nozione di “procedimento penale”, di cui all’art. 11 del D.P.R. n. 737/1981 (“quando l’appartenente ai ruoli della Pubblica Sicurezza viene sottoposto per gli stessi fatti a procedimento penale il primo [proc. disciplinare] deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”) non va ristretta alle soli fasi processuali in cui si determina l’ascrizione della “notitia criminis” ad un soggetto determinato (inizio dell’azione penale in senso formale), ma è comprensivo anche delle precedenti attività istruttorie e di indagine in base alle quale può pervenirsi o all’istanza di archiviazione o alla formale richiesta di rinvio a giudizio per il prosieguo dell’accusa.

Cons. Stato, sez. VI, sent. nr. 115/07 del 28.11.2006 – dep. 19.01.2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.115/2007

Reg.Dec.

N. 3049 Reg.Ric.

ANNO 2005

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal Ministero dell’ Interno, rappresentato e difeso dall’ Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge presso la sede della stessa in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

sig ……., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv.to ……, con domicilio eletto in Roma, via …………, presso l’avv.to ……….;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. I^ ter, n. 15309/2004 del 09.12.2004;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig…………;

Viste le memorie prodotte dalle parte convenuta a sostegno della propria difesa;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore per la pubblica udienza del 28 novembre 2006 il Consigliere Polito Bruno Rosario;

Udito l’ Avvocato dello Stato Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1). L’agente scelto della Polizia di Stato sig………….. proponeva ricorso avanti al T.A.R. per il Lazio avverso il decreto del Capo della Polizia in data 04.12.2001, con il quale, in esito a procedimento disciplinare, era stata disposta la destituzione dal servizio con decorrenza 17.08.2001 dello stesso dipendente ai sensi dell’art. 7, nn. 1 e 2 del d.P.R. 25.10.1981, n. 737.

A sostegno dell’illegittimità del provvedimento estintivo del rapporto di impiego deduceva motivi di violazione dell’art. 11, in relazione agli artt. 7 e segg. del menzionato d.P.R. n. 737/1981, non essendo stata disposta la sospensione dell’azione disciplina per la pendenza di procedimento penale per i medesimi fatti addebitati. Rilevava inoltre la violazione del diritto di difesa dell’incolpato, essendosi basata l’Amministrazione unicamente su una sua ricostruzione dei fatti ignorando gli elementi a discolpa addotti dall’interessato.

Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il T.A.R. adito accoglieva il ricorso, rilevando in particolare l’interferenza dell’ azione disciplinare con le indagini in sede penale ed il conseguente obbligo dell’ufficio inquirente di dar luogo alla sospensione prevista dall’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981.

Contro detta decisione ha proposto appello il Ministero dell’ Interno ed a sostegno della riforma delle sentenza gravata ha dedotto;

– che nella fattispecie “de qua” non era intervenuto alcun atto nei confronti dell’ inquisito che configurasse concreto esercizio dell’azione penale e conseguente assunzione della qualità di imputato (formale richiesta del P.M. di rinvio giudizio; richiesta congiunta di applicazione della pena in sede di indagini preliminari; giudizio direttissimo; richiesta di decreto di condanna a pena pecuniaria, ecc.), con al conseguenza che alcun obbligo di arresto del procedimento disciplinare gravava sull’ Amministrazione;

– che i fatti rilevanti ai fini dell’applicazione della sanzione disciplinare sono stati compiutamente accertati in sede di inchiesta, così da non ingenerare dubbi sull’effettivo svolgimento delle vicenda ritenuta riprovevole in relazione alla posizione di “status” di appartenente alla Polizia di Stato rivestita dall’ inquisito .

Il sig. ………… si è costituito in giudizio ed ha contrastato in fatto e diritto le deduzioni del Ministero ricorrente concludendo per il rigetto dell’ appello.

All’udienza del 28.11.2006 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2). L’appello è infondato.

Il sig. …………… ha esposto documentato che, in parallelo all’inchiesta disciplinare disposta con la nomina del funzionario istruttore era sottoposto ad indagine in sede penale, con istruttoria preliminare per i medesimi fatti per i quali era stata iniziata l’azione disciplinare, culminata in data 24.08.2000 con la richiesta di archiviazione sul rilievo che “non può escludersi che la condotta posta in essere dallo stesso (inquisito) sia stata equivocata dai denuncianti”, cui ha fatto seguito in data 29.11.2001 il conforme decreto del giudice delle indagini preliminari. Delle conclusioni cui era pervenuto il giudice delle indagini preliminari il …………. con lettera raccomandata del 02.11.2001 aveva dato pronta notizia alla propria amministrazione, sottolineando il rilievo delle stesse ai fini dell’esito del procedimento disciplinare. Degli elementi rassegnati l’organo di disciplina non dà, tuttavia, atto di aver tenuto conto, così incorrendo nei vizi di difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento finale puntualmente riscontrati dal giudice di primo grado.

3). La resistente difesa, con diffuso ordine argomentativo, sostiene che, agli effetti dell’irrogazione della misura disciplinare, non sussisteva alcun obbligo di attendere l’esito delle indagini attivate in sede penale non essendo stato indirizzato nei confronti dell’indagato un atto che configurasse formale inizio dell’ azione penale.

3.1) Osserva il collegio che l’art. 11 del d.P.R. 25.10.1981, n. 737, recante norme in tema di sanzioni e di procedimento disciplinare del personale della Polizia di Stato, stabilisce che “quando l’appartenente ai ruoli della Pubblica Sicurezza viene sottoposto per gli stessi fatti a procedimento penale il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”.

Il Ministero appellante identifica la nozione di “procedimento penale” cui è fatto richiamo nella menzionata disposizione regolamentare con l’ inizio dell’azione penale che, in base al dato formale di cui all’ art. 405 c.p.p., ha luogo, con la formulazione da parte del pubblico ministero dell’ imputazione per un fatto specifico, ovvero con richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 416 c.p.p., ed in tutti i casi elencati all’art. 60 c.p.p. in cui l’inquisito assume la qualità di imputato in base a richiesta di giudizio immediato (art. 453); per richiesta di decreto penale di condanna (art. 459); di giudizio direttissimo; di decreto di citazione a giudizio a norma dell’art. 555 c.p.p.; per richiesta congiunta di applicazione della pena durante le indagini preliminari (art. 447).

Ritiene la Sezione che la nozione di “procedimento penale” recepita dall’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 non va ristretta alle soli fasi processuali in cui si determina l’ascrizione della “notitia criminis” ad un soggetto determinato (inizio dell’azione penale in senso formale), ma è comprensivo anche delle precedenti attività istruttorie e di indagine in base alle quale può pervenirsi o all’ istanza di archiviazione o alla formale richiesta di rinvio a giudizio per il prosieguo dell’accusa (cfr. in fattispecie analoga questa Sezione n. 5421/2005 del 06.10.2005).

L’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 enuclea, invero, una norma di garanzia chiamata ad operare in raccordo con l’art. 653 c.p.p. che, nel testo come modificato dalla legge n. 27/2001, attribuisce alla sentenza penale, sia di assoluzione che di condanna, efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale ed alla ascrivibilità o meno all’imputato. Non ha senso, quindi distinguere, agli effetti dell’applicazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981, all’interno del processo penale le fasi procedimentali di istruttoria ed di indagine indirizzate verso un soggetto determinato rispetto al momento di inizio formale dell’azione penale, poiché in entrambe in casi ricorre l’ “eadem ratio” sottesa all’art. 11, che è quella di prevenire antinomie fra gli esiti del procedimento penale e di quello disciplinare e di consentire all’inquisito di avvalersi della pronunzia assolutoria a discarico dell’addebito di trasgressione del codice disciplinare. Quanto alla non praticabilità, su un piano di interna ragionevolezza dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981, della soluzione interpretativa prospettata dalla difesa erariale va considerato che ove trovasse ancora ingresso la regola della sospensione del procedimento disciplinare solo in presenza dell’ inizio in senso formale dell’azione penale, sarebbero favoriti proprio i soggetti più gravemente sospettati (e cioè nei cui confronti con immediatezza è intervenuta l’ascrizione dell’imputazione per fatto determinato), per i quali il procedimento disciplinare sarebbe sospeso, mentre questo procederebbe inesorabilmente nei confronti dei soggetti solo in fase indagatoria.

3.2.). Un’ ulteriore argomento ermeneutico induce alla conferma delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado.

Stabilisce l’art. 61 c.p.p. che “i diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all’imputato, salvo sia diversamente stabilito”. Dalla su riferita disposizione si ricava un principio di carattere ordinamentale che parifica i diritti e le garanzie dell’inquisito quale sia la fase del procedimento penale in cui esso sia coinvolto. Detto principio esplica, quindi, effetto anche in ordine al diritto dell’indagato di veder subordinata, secondo quanto stabilito dall’art. 653 c.p.p., la definizione del giudizio disciplinare all’esito del giudizio penale, per ciò che attiene all’insussistenza del fatto addebitato ed alla mancata commissione dello stesso.

3.4). Le conclusioni di cui innanzi trovano, del resto, conforto in un ulteriore indirizzo della giurisprudenza del Consiglio di Stato che, in fattispecie afferente alla sospensione cautelare dal servizio dell’ impiegato “sottoposto a procedimento penale” (art. 91 del d.P.R. 10.01.1957, n. 3), ha ripudiato al tesi riduttiva della pendenza del procedimento penale ai soli casi di inizio formale dell’azione penale secondo le situazioni processuali previste dagli artt. 60, 405 e 416 c.p.p., ammettendo la possibilità di adottare la misura cautelare anche in un momento antecedente, in relazione all’attività istruttoria del giudice penale per fatti ascritti al pubblico dipendente (cfr. da ultimo questa Sezione n. 398 del 27.01.2003).

3.5) La nozione di “procedimento penale” cui fa riferimento l’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 si configura, quindi, più ampia di quella di inizio dell’ “azione penale”, che si rinviene nell’art. 117 del t.u. n. 3/1957 e che, muovendo dal dato letterale della norma, ha indotto per talune fattispecie a soluzioni giurisprudenziali più restrittive dell’ambito di applicazione

3.6). Con specifico riguardo alla fattispecie di cui è controversia occorre infine considerare che, come in precedenza accennato, nei confronti dell’inquisito era intervenuta formale richiesta di archiviazione per il fatto addebitato; detta istanza, nell’indirizzo della prevalente dottrina, integra uno dei modi di esercizio (ancorché in senso negativo) dell’azione penale così che, anche nell’approccio formale della resistenza difesa, si versava a fronte di un atto del processo penale cui doveva far seguito l’arresto del procedimento disciplinare.

4). L’appello va quindi respinto.

5). Le domande di ristoro dei danni morali e materiali conseguente all’atto di destituzione sono formulate per la prima volta in grado di appello e, quindi, inammissibili.

A particolari profili della materia del contendere segue la compensazione di spese ed onorari di giudizio fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez. VI – nella Camera di Consiglio del 28 novembre 2006 con l’intervento dei Signori:

Claudio Varrone, Presidente

Luciano Barra Caracciolo Consigliere

Lanfranco Balucani Consigliere

Domenico Cafini Consigliere

Bruno Rosario Polito Consigliere est. ed rel.

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere Segretario

BRUNO ROSARIO POLITO ANNAMARIA RICCI

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il..19/01/2007

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa

al Ministero………………………………………………………………………………….

a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

Il Direttore della Segreteria

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