Procedimento disciplinare: il dipendente non può trarre vantaggio se i termini non sono stati rispettati, dalla P.A., per sua colpa – Cons. Stato sent. nr. 656/06 del 29.11.2005

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Ultimo aggiornamento 22/07/2013

Procedimento disciplinare: il dipendente non può trarre vantaggio se i termini non sono stati rispettati, dalla P.A., per sua colpa. I Giudici amministrativi hanno sostenuto che i termini di cui all’art. 9, comma 2, della l. n. 19/1990 (che fissa il termine perentorio di centottanta giorni dalla data in cui l’ Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna penale per l’avvio del procedimento disciplinare a carico dei pubblici dipendenti nonché il successivo termine di novanta giorni per la sua conclusione) sono posti a garanzia dell’interesse dell’incolpato a una sollecita definizione del procedimento, con la conseguenza che – qualora l’amministrazione non abbia potuto rispettare tali termini al fine di garantire all’incolpato il pieno esercizio del diritto di difesa e a causa del comportamento dello stesso – quest’ultimo non può trarre vantaggio dall’inosservanza dei termini stessi.

  

Cons. Stato, sez. VI, sent. nr. 656/06 del 29.11.2005– dep. 17.02.2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.656/2006

Reg.Dec.

N. 9042 Reg.Ric.

ANNO 2003

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 9042/03, proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il Sig……………, rappresentato e difeso dall’avv. …………., ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Roma, via del ……………………….;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima ter, 26 marzo 2003, n. 2636;

visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

vista la memoria prodotta dall’appellato;

visti tutti gli atti della causa;

relatore all’udienza pubblica del 29 novembre 2005 il consigliere Carmine Volpe, e uditi l’avv. dello Stato Bruni per l’appellante e l’avv……….., in delega dell’avv………….., per l’appellato;

ritenuto e considerato quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Il primo giudice ha accolto il ricorso proposto dal Sig ………….., assistente capo della Polizia di Stato, avverso il decreto del capo della Polizia n. 333-D/31463 in data 18 maggio 1999, con cui lo stesso:

a) è stato destituito dall’amministrazione della pubblica sicurezza a decorrere dal 24 settembre 1998;

b) si è disposto che il periodo di sospensione dal servizio, dal 21 marzo 1992 al 20 marzo 1997, non era valido né ai fini giuridici né a quelli previdenziali;

c) è stato annullato il decreto del capo della Polizia 1° settembre 1995 nella parte riguardante il suo inquadramento nella qualifica di vice sovrintendente.

Erano stati impugnati anche tutti gli atti connessi e, in particolare, la deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina della Questura di ………………. in data 1° aprile 1999.

2. Il primo giudice ha ritenuto fondato il secondo motivo dedotto, concernente la violazione del termine di conclusione del procedimento disciplinare, imposto, a pena di estinzione del potere, dall’art. 9, comma 2, della l. 7 febbraio 1990, n. 19.

Ha affermato che l’amministrazione della pubblica sicurezza ha superato il termine di 90 giorni, essendo sicuramente a conoscenza della sentenza definitiva di condanna il 9 giugno 1998, allorquando è intervenuta la nomina del funzionario istruttore, e concludendo a distanza di oltre 11 mesi il procedimento disciplinare a carico del dipendente.

In tal modo, secondo il primo giudice, è stato superato il termine complessivo di 270 giorni dalla conoscenza della sentenza definitiva di condanna, previsto dall’art. 9, comma 2, della l. n. 19/1990.

3. La sentenza viene appellata dal Ministero dell’interno, il quale sostiene:

1) che il termine complessivo di 270 giorni sarebbe stato superato a causa dell’impossibilità del dipendente di partecipare alla trattazione orale del procedimento innanzi al Consiglio provinciale di disciplina;

2) che il Sig……………..avrebbe in via sistematica presentato, in prossimità della riunione del detto Consiglio, certificazione medica attestante l’impossibilità a partecipare alla trattazione orale del procedimento disciplinare, facendo conseguentemente slittare la riunione del medesimo Consiglio dal 2 ottobre 1998 al 1° aprile 1999 per complessivi 183 giorni; ben superiore ai 72 giorni eccedenti il termine di 270 giorni previsto dalla legge;

3) che, se la trattazione orale innanzi al detto Consiglio non fosse stata procrastinata per il legittimo impedimento del dipendente, l’amministrazione avrebbe potuto concludere il procedimento nei termini previsti dalla legge;

4) la necessità del rinvio della trattazione del procedimento al fine di garantire al Sig…………… il pieno esercizio del diritto di difesa, in osservanza a quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza 28 maggio 1999, n. 197.

L’appellato si è costituito in giudizio, resistendo al ricorso in appello. Lo stesso, in particolare, ha dedotto:

1) la violazione degli artt. 111 e 112 del d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 (motivo assorbito in primo grado), in quanto, nonostante che il giorno prima della seduta del Consiglio di disciplina del 1° aprile 1999 fosse pervenuto certificato medico attestante il bisogno, da parte del Sig………………, di 30 giorni di riposo, il Consiglio stesso avrebbe egualmente deciso di procedere in contumacia dell’interessato senza consentirgli di svolgere la propria difesa;

2) la violazione e la mancata applicazione degli artt. 9, comma 2, e 10 della l. n. 19/1990, degli artt. 12 e seguenti del D.P.R. 25 Ottobre 1981, n. 737, l’eccesso di potere, la violazione e il vizio del procedimento, nonché la violazione dell’art. 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241, poiché la sentenza della Corte di Cassazione in data 8 aprile 1998 (con cui è stata confermata la condanna dell’appellato, per il delitto di cui all’art. 317 del c.p., alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione) sarebbe stata trasmessa alla Polizia di Stato il 15 aprile 1998, il provvedimento di destituzione (in data 18 maggio 1999) sarebbe stato emesso a distanza di 398 giorni dalla conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e notificato (il 25 giugno 1999) dopo 436 giorni; ben oltre, quindi, i 270 giorni previsti dalla legge.

L’appellato ha prodotto memoria con la quale ha ulteriormente illustrato le proprie difese.

4. Il ricorso in appello è fondato.

La sezione precisa, in primo luogo, che, come affermato dal primo giudice, la conoscenza della sentenza irrevocabile di condanna è avvenuta il 9 giugno 1998; e sul punto non vi è appello.

L’impugnato provvedimento di destituzione è stato emesso in data 18 maggio 1999 e, quindi, oltre il termine di 270 giorni di cui all’art. 9, comma 2, della l. n. 19/1990 come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 197/1999. La norma prescrive che “la destituzione può sempre essere inflitta all’esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni”.

Nella specie, tuttavia, è accaduto che, dopo la notifica della contestazione degli addebiti avvenuta il 17 giugno 1998, il Consiglio provinciale di disciplina solo nella seduta del 1° aprile 1999 proponeva l’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione, ritenendo non legittimo impedimento l’infermità di cui dall’ennesimo certificato medico fatto pervenire dall’interessato solo il giorno prima.

Il Sig……………., a partire dalla seduta del detto Consiglio in data 30 ottobre 1998, aveva ripetutamente fatto pervenire (frequentemente proprio il giorno prima quello fissato per la seduta) certificati medici nei quali si attestava che lo stesso era colpito da infermità di vari tipi, tra cui la più ricorrente era la “sindrome ansioso depressiva”, e necessitava di diversi giorni di riposo. Il che aveva comportato continui rinvii da parte del Consiglio provinciale di disciplina, il quale rilevava l’esistenza di un legittimo impedimento dell’appellato a essere presente ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. 25 Ottobre 1981, n. 737 (si vedano le sedute del 6, 21, 28 e 30 novembre 1998, 3 e 10 dicembre 1998, 2 e 16 gennaio 1999, 8 febbraio 1999, 16 marzo 1999).

Ciò premesso, la sezione ritiene che i termini di cui all’art. 9, comma 2, della l. n. 19/2000 siano posti a garanzia dell’interesse dell’incolpato a una sollecita definizione del procedimento. Con la conseguenza che, qualora l’amministrazione non abbia potuto rispettare tali termini al fine di garantire all’incolpato il pieno esercizio del diritto di difesa e a causa del comportamento dello stesso, quest’ultimo non può trarre vantaggio dall’inosservanza dei termini stessi. La mancata sollecita definizione del procedimento, da imputare all’interessato – dato che, se la trattazione orale innanzi al detto Consiglio non fosse stata rinviata per il legittimo impedimento del dipendente, l’amministrazione avrebbe potuto concludere il procedimento disciplinare nei termini previsti dalla legge – non può dallo stesso essere addotta a motivo di illegittimità del provvedimento conclusivo del procedimento.

Nella fattispecie per cui è causa la riunione del Consiglio provinciale di disciplina è slittata dal 30 ottobre 1998 al 1° aprile 1999 per complessivi 153 giorni; periodo superiore ai 73 giorni eccedenti il termine di 270 giorni previsto dalla legge, da computare dalla conoscenza, da parte dell’amministrazione, della sentenza irrevocabile di condanna e sino all’adozione del provvedimento di destituzione (ossia dal 9 giugno 1998 al 18 maggio 1999).

5. Non ha pregio il motivo, assorbito in primo grado e riproposto dall’appellato, di violazione degli artt. 111 e 112 del d.p.r. n. 3/1957.

La sezione è dell’avviso che il Consiglio provinciale di disciplina, nella seduta del 1° aprile 1999, abbia correttamente proceduto in assenza del Sig………………., ritenendo che l’ennesimo certificato medico, pervenuto il giorno prima della seduta e attestante sempre la stessa infermità (“sindrome ansioso depressiva”), non potesse essere più considerato legittimo impedimento ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.p.r. n. 737/1981.

6. Il ricorso in appello, pertanto, deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va respinto. Le spese del doppio grado di giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensate.

Per questi motivi

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, accoglie il ricorso in appello e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma il 29 novembre 2005 e il 20 dicembre 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:

Claudio Varrone presidente

Sabino Luce consigliere

Luigi Maruotti consigliere

Carmine Volpe consigliere, estensore

Luciano Barra Caracciolo consigliere

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere Segretario

CARMINE VOLPE GLAUCO SIMONINI

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il…17/02/2006

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA

 

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