Emendamento “scudo penale” non degno di un Paese civile – appello ai Presidenti dei rami del Parlamento e al Presidente del Consiglio

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    Ultimo aggiornamento 01/04/2020

    Illustrissime Autorità,

    fin dall’inizio di questa crisi che, per economia espositiva, ci limitiamo a declinare come drammatica, abbiamo ritenuto di accogliere l’invito da Voi formulato a cercare di attagliare il nostro agire ad un elevato senso di responsabilità, oltre che di abnegazione, nell’interesse prioritario e primario della tutela della salute dei cittadini e per la tutela e il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica.

    Diversamente da una certa visione anelastica – niente affatto marginale – che considera le organizzazioni sindacali pregne dal vizio antropologico dell’allergia alla ragionevolezza, crediamo di aver dimostrato, una volta ancora, come quando in gioco c’è la tenuta delle fondamenta democratiche non esitiamo, alla stessa stregua dei colleghi che rappresentiamo, a mettere il nostro civismo, la nostra coscienza costituzionale, e il tener fede al giuramento prestato davanti anche ai nostri interessi particolari. Anche a costo di rinunciare a prerogative ordinariamente considerate intangibili.

    Per questo avevamo la ragionevole aspettativa di poter fare affidamento su altrettanta sensibilità da parte di chi avrebbe dovuto, nell’apprezzare questo nostro approccio, renderci, tra l’altro, partecipi del contenuto di provvedimenti normativi in itinere destinati a produrre effetti non solo sul rapporto di lavoro del personale della Polizia di Stato, ma anche sulle procedure a tutela della sua salute.

    Dobbiamo, invece, prendere atto che esiste una proposta di emendamento al vaglio delle commissioni parlamentari elaborata dall’Ufficio Legislativo dell’Arma dei Carabinieri, che mira a far inserire nel testo della legge di conversione del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, una inquietante ipotesi di esclusione di responsabilità di cui beneficerebbero coloro che, all’interno delle Forze di Polizia civili e militari, dell’Esercito e dei Vigili del Fuoco, vengono individuati come datore di lavoro ai sensi della L. 81/2008. Una attenuazione della responsabilità finalizzata, come si legge nella relazione illustrativa allegata alla proposta, ad evitare di esporre i datori di lavoro, “a fine emergenza, al rischio di dover rispondere in sede civile e/o penale se non a fronte di puntuali e comprovate responsabilità e con espressa esclusione di qualsiasi ipotesi diversa da quella per dolo e colpa grave”.

    Si potrebbe replicare che questa ipotesi di lavoro è stata, per l’appunto, predisposta da una amministrazione terza, e si potrebbe quindi sostenere che nessuna doglianza potrebbe essere mossa alla nostra Amministrazione.

    Non fosse che il testo di questa, e di altre proposte emendative da inserire in sede di conversione del decreto legge in narrativa, sono state inoltrate dall’Ufficio Affari Legislativi del Dipartimento della P.S. a varie articolazioni interne con nota del 27 marzo 2020 “per le valutazioni di propria competenza”. Nulla invece alle organizzazioni sindacali. A significare dunque, implicitamente, che le organizzazioni sindacali della Polizia di Stato, che rappresentano il personale nei cui confronti queste disposizioni, ove attuate, sarebbero astrattamente produttive di notevoli conseguenze, non sarebbero ritenute portatrici di interessi e/o competenza.

    L’amarezza, per quanto appresso si dirà, non è affatto mitigata dalla constatazione che, nel resoconto del parere approvato dalla Commissione Difesa del Senato nella seduta del 26 marzo 2020 sparisce il riferimento alla Polizia di Stato. La Commissione invita infatti il Governo a valutare “in conformità con quanto previsto in situazioni analoghe per le altre amministrazioni dello Stato, di garantire forme di tutela, in sede civile e penale, nei confronti dei responsabili delle strutture delle Forze armate (compresa l’Arma dei carabinieri), limitando la loro responsabilità qualora questi abbiano assolto agli obblighi di informazione del personale sui rischi di contaminazione da agenti virali, e gli ordini emanati siano conformi alle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie”. La solita provvidenza con le stellette, assidua frequentatrice delle sedi parlamentari, pare essere riuscita, una volta ancora, nell’offrire ai vertici militari, e solo a loro, l’ennesimo soccorso. Ma questo non ci tranquillizza affatto, anche perché la nota dell’Ufficio Affari Legislativi e Parlamentari da noi stigmatizzata è del 27 marzo, ossia il giorno successivo a quello in cui la Commissione Difesa del Senato ha licenziato il suo parere.

    E dunque siamo legittimati a pensare – male, ma a questo punto difficile non essere prevenuti – che si stia cercando di inseguire l’immunità parziale di cui, al momento, parrebbero beneficiare i soli ufficiali delle FF. AA., anche per chi nei ruoli della Polizia di Stato riveste la qualifica di datore di lavoro.

    Una immunità i cui termini, a ben vedere, non risultano ben chiariti dalla generica stesura del parere della Commissione di Palazzo Madama, non essendo allora al momento possibile svolgere un puntuale ragionamento in termini giuridici sulla effettiva portata che avrebbe una eventuale trasposizione in legge della proposta di cui ci occupiamo. Il tutto a tacere del fatto che discutiamo di una deroga a principi fondamentali della tutela dei lavoratori che verrebbe fatta valere nei soli confronti di datori di lavoro di un ristretto comparto pubblico, e non anche, giusto per fare un esempio di un’altra categoria particolarmente esposta in questo periodo, per i datori di lavoro delle catene della grande distribuzione alimentare. E non sarebbe quindi semplice immaginare di far superare ad una simile disparità di trattamento il vaglio di legittimità costituzionale.

    Ma non è questo il punto. Non si tratta solo del merito, che è, e resta, in ogni caso per chi scrive, irricevibile, e non solo per le stridenti incoerenze dianzi denunciate, quanto della irreparabile incrinatura nell’interlocuzione tra le parti che verrebbe irrimediabilmente compromessa nel denegato caso in cui la norma trovasse effettiva collocazione in sede di conversione del Decreto legge. Si consumerebbe a quel punto un incomprensibile strappo allo spirito della invocata collaborazione che, noi, per parte nostra, abbiamo sino ad oggi perseguito anche a costo di non essere talvolta compresi fino in fondo dai colleghi.

    Quei colleghi che, magari, si aspettavano dalla propria Amministrazione, e parimenti dai massimi rappresentanti governativi, una dimostrazione di vicinanza che andasse oltre le rituali dichiarazioni istituzionali, come ad esempio l’introduzione di una tutela avanzata per i familiari superstiti nel caso di esiti fatali in conseguenza di contagio eziologicamente correlato all’attività di servizio.

    Saremmo insomma a doverci confrontare con una lacerante ferita al morale degli operatori della Polizia di Stato proprio nel momento in cui la perpetuazione della crisi rischia di animare angosce collettive che minerebbero la già precaria coesione sociale. Una precarietà, peraltro rappresentata anche dalle Agenzie degli stessi servizi segreti che, a ben vedere, palesano il concreto e attuale rischio di rivolte in alcune zone del Paese.

    Ma la cosa ancor più grave che emergerebbe da una siffatta situazione sarebbe quella di incrinare in modo irreversibile il rapporto fiduciario, e quindi di reciproca responsabilità tra i vertici di queste Amministrazioni e tutto il personale che le compongono. Giacché in un momento così delicato e precario per il nostro Paese dove non c’è momento in cui i vertici delle suddette non fanno altro che richiamare al senso di responsabilità che i cittadini e il Paese richiede per fronteggiare la pandemia, essi stessi vengono deresponsabilizzati dalle conseguenze del proprio agire e delle decisioni che assumono rispetto alla tutela della salute del proprio personale.

    Noi crediamo che solo una straordinaria motivazione del personale delle Forze di Polizia, delle Forze Armate e del Soccorso Pubblico potrà consentire al Paese di superare le prevedibili tensioni che si affacciano ad un orizzonte sempre più probabile. Ma per alimentare questa motivazione bisogna innanzitutto dare l’esempio. Giacché solo dimostrando di rispondere del proprio operato e delle scelte che si assumono in funzione del ruolo di responsabilità che si ricopre si può pretendere altrettanto responsabilità e abnegazione da chi si dirige.

    Ecco perché impedire che nella conversione in legge del decreto legge n. 18 trovi accoglimento la inqualificabile proposta di immunità parziale che impegna il nostro ragionamento è un dovere senza alternative.

    Confidando quindi di aver offerto riflessioni utili ad evitare quella che sarebbe avvertita, e non potrebbe che essere altrimenti da noi intesa stanti le premesse, come una insanabile frattura nell’inedito, e reciprocamente proficuo, modello di relazioni sindacali intrapreso in occasione dell’avvio della crisi, facciamo appello alle SS.LL. affinché questo “scudo penale” non trovi accoglimento.

    Conoscendo la Loro sensibilità e l’impegno che quotidianamente profondono per il bene e la salvaguardia del Paese, dei suoi cittadini e delle donne e degli uomini appartenenti al settore nevralgico dei Comparti Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico, si resta in attesa di una favorevole valutazione della presente cogliendo l’occasione per inviare cordialissimi saluti e sensi di elevata e rinnovata stima.

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