PAURA, INCERTEZZA, DISAGIO SOCIALE

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Ultimo aggiornamento 26/07/2013

PAURA, INCERTEZZA, DISAGIO SOCIALE

Ottimizzare le risorse per rispondere al crimine.

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Relazione introduttiva del Segretario Generale Felice Romano

Roma, 27 novembre 2008

Premessa: il buco nella tasca

È per me un vero piacere porgere i saluti del Siulp alle autorità e ai graditissimi ospiti che hanno voluto onorarci con la loro presenza.

Abbiamo scelto, per il convegno di oggi, un tema spero attuale, ma sicuramente non consueto: partiremo da una breve analisi della “paura” che contraddistingue la nostra società, in questo particolare momento storico, per capire se, in vista dei prossimi tempi, che si annunciano “neri” per le finanze dello Stato sia possibile migliorare il servizio sicurezza contenendone i costi.

Non abbiamo fatto altro, preparando questo intervento, che applicare quell’insegnamento che ci deriva dalla tesi valida in economia, sintetizzabile con una metafora di questo tipo:

se c’è un buco nella tasca non serve riempirla, occorre prima tappare il buco.

Il Siulp si batterà sempre affinchè siano destinati maggiori investimenti sul fronte della sicurezza, e soprattutto per far si che questi investimenti vengano usati principalmente per valorizzare la risorsa umana, centro motore di ogni innovazione, oltre che al semplice incremento numerico della stessa. E si batterà affinché continui la politica degli investimenti per l’ammodernamento degli strumenti in dotazione.

Ma tali sono i tempi che avvertiamo oggi l’esigenza di rilanciare la nostra sfida storica sul coordinamento reale tra le Forze di Polizia e sulla razionalizzazione delle risorse, per quanto contenute e forse insufficienti, ad esse attribuite per i compiti di istituto.

Abbiamo quindi voluto, e molto abbiamo insistito per la loro presenza odierna a questo convegno, delle personalità, istituzionali, politiche e del mondo sindacale confederale, che si sono caratterizzate nella loro attività nel campo della sicurezza e a favore dei lavoratori delle Forze di Polizia, per aver privilegiato la concretezza dell’azione all’inconsistenza di pura immagine, la ricerca della qualità all’illusione della pura quantità, il coraggio dell’innovazione, che comporta necessariamente esperimenti non riusciti, all’ossequio della prassi.

Perchè siamo convinti, come già avvenuto in passato che solo il contributo del sindacato confederale potrà aiutare il Paese a superare anche questa nuova crisi che sta mettendo a dura prova la capacità della nostra società di dare risposte adeguate ma anche capaci di valorizzare l’elemento centrale di ogni processo innovativo l’essere umano.

Ecco perché riteniamo determinante, tra gli altri il contributo della Cisl che da sempre, in tutti i momenti di crisi, ha sempre avuto le intuizioni migliori per superare le fasi difficili delineando percorsi risolutivi e condivisi.

Perché crisi (dal greco krisis) significa decisione, e ogni volta che bisogna decidere c’è bisogno di responsabilità, di coraggio e di coerenza per creare anche opportunità oltre che risolvere il problema. 

1. La Paura “del diverso”

Già uno studio del Censis di quasi dieci anni fa, sottolineava un dato importante: il livello di paura, strettamente collegabile ai flussi immigratori, e alla diversità delle culture ravvisabili anche dietro reati ascrivibili alla cosiddetta microcriminalità, era pressoché identico se riferito a cittadini delle metropoli o a cittadini delle piccole realtà.

Come dire che la paura non era e non è collegata al reale andamento del crimine, ma piuttosto ad una percezione di fattori criminogeni quali il disagio sociale oggettivamente esistenti a seguito di un flusso immigratorio indisciplinato.

La paura negli ultimi anni è stata accompagnata da una specificazione: si tratta sostanzialmente di una paura del diverso.

Si tratta di una paura alimentata soprattutto dalla criminalità degli stranieri nel nostro

Paese, che è stata al centro del dibattito sullo stato della sicurezza.

Basti pensare che nel giro di un paio di anni la città di Roma è passata dai primi posti nella classifica delle capitali europee più sicure agli ultimi.

Inspiegabile qualsiasi collegamento con il dato reale, che segna addirittura un deflusso negli ultimi anni del livello criminale. Ma spiegabile con il fatto che questo tipo di paura prescinde dalla realtà ed affonda le sue radici nell’irrazionale e nel subconscio.

Sono state proposte, da parte degli ultimi governi, sia pure a fasi alterne, soluzioni che oscillano da una eccessiva apertura verso il nuovo ed il diverso ad una altrettanta eccessiva repressione verso quegli elementi ritenuti “di disturbo” per la pace e per l’ordine pubblico.

C’è, obiettivamente, un accostamento dell’opinione pubblica ad un desiderio davvero insolito per il nostro Paese, di cultura occidentale e cattolica, e quindi tollerante e democratica; un desiderio di repressione a tutti i costi del “diverso”; e c’è altrettanto obiettivamente l’idea, che prende sempre più piede in ogni strato della popolazione, che lo Stato debba rispondere con la violenza alla violenza, con l’aggressione all’aggressione, con la forza dei propri corpi armati a tutto ciò che alimenta la paura.

Paura e militarizzazione dell’ordine pubblico sono andati pertanto di pari passo: la Polizia di Stato, invece si ispira ad una filosofia operativa che è quella della mediazione sociale; viene insegnato ai poliziotti, oggi più che ieri, che il ricorso alla forza e all’arma è l’ultimo degli strumenti possibili per contenere il delitto ed il crimine.

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2. Il disagio sociale

Viene insegnato nelle scuole di polizia che ogni manifestante che porta in piazza la sua protesta è una persona prima, ed un cittadino poi, e che la sua protesta è il primo mezzo che un Paese democratico deve riconoscere e garantire ai propri cittadini.

Viene persino insegnato nelle scuole di polizia che il disagio sociale, la crisi dei valori e quella economica, producono spesso criminalità.

E questi insegnamenti fanno parte del patrimonio professionale di ogni operatore della Polizia di Stato, e fanno parte dell’intima convinzione di tutti quei poliziotti che, aderendo al sindacato, aderiscono ai valori di una solidarietà sociale che permette loro di fare il proprio mestiere in rappresentanza dello Stato senza però tralasciare quei valori di rispetto della persona e dei suoi diritti che devono essere praticati in ogni stato di diritto.

Il discorso acquista un particolare valore quando un altro problema si profila all’orizzonte insieme a quello della paura: quello del disagio sociale derivante da una crisi economica di inconsuete proporzioni che comporterà da qui a breve la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, e l’aggravamento di già precarie condizioni di esistenza per milioni di cittadini.

Tra poco, quindi, le Forze di Polizia saranno impegnate con maggiore vigore sul fronte della sicurezza pubblica; è determinante quindi che la gestione di questi interventi, per tutelare il binomio inscindibile sicurezza e libertà, rimanga nelle mani dell’Autorità civile e non militare.

Le Forze di Polizia non possono essere l’unica risposta alla paura, al disagio sociale, alla crisi dei valori e a quella economica che esistono nel Paese.

Ma è dovere di tutti organizzare al meglio le risorse disponibili per far fronte al crimine che inevitabilmente ne consegue.

È indispensabile che il costrutto della 121/81 venga rispettato: c’è il rischio, altrimenti, che il nostro Paese possa vivere un momento “particolare” della sua storia democratica.

3. L’incertezza

C’è poi un’incertezza che riguarda i comportamenti, le relazioni, l’attualità stessa dei valori e degli ideali che hanno contraddistinto la tradizione storica del nostro stare insieme in questo Paese.

C’è un’incertezza che è il prezzo obbligato della eterogeneità della società moderna: un’incertezza alla quale corrisponde nell’opinione pubblica un desiderio sempre più prepotente di certezza delle regole e dei valori, un desiderio che annulla spesso gli sforzi di integrazione che da più parti provengono, e che per fortuna continuano ad esistere.

Alcuni colleghi della Polizia di Stato impegnati in prima persona nell’operazione recente, che ha visto per volontà di questo Governo l’Esercito affiancare le Forze dell’Ordine in compiti di controllo del territorio, ci hanno comunicato un messaggio interessante: a loro dire, il cittadino ha oggi una percezione così negativa della propria sicurezza, che sarebbe disposto a grossi sacrifici pur di veder migliorata la situazione.

Sarebbe disposto persino a rinunciare a parte della sua libertà.

In altri tempi vedere sulle nostre strade una pattuglia delle Forze Armate in assetto da guerra urbana avrebbe legittimamente suscitato perplessità; oggi questa stessa pattuglia viene vista, invece, come una forza di liberazione nazionale contro il crimine e la delinquenza.

Si ripete ancora l’effetto 11 settembre: negli aeroporti si fanno ancora oggi code interminabili al metal detector, si subiscono controlli e perquisizioni sulla propria persona.

Ma tutto questo viene accettato dal cittadino, perché convinto che in questo modo si tutela la sua sicurezza.

Sono concetti con i quali bisogna fare i conti quando vogliamo occuparci degli obiettivi reali della nostra azione: per questo il Siulp ha aperto in positivo al contributo dell’esercito in tema di prevenzione e controllo del territorio.

Ben venga l’ausilio delle Forze Armate alle Forze di Polizia nell’assicurare vigilanza ad obiettivi sensibili: purché rimanga indiscutibile il principio che il dominus di ogni azione coordinata deve restare l’autorità di Pubblica Sicurezza sia a livello provinciale sia a livello nazionale.

È il livello massimo di un “compromesso storico” e nessuna ulteriore mediazione può essere possibile su questo punto.

4. Sicurezza partecipata e incertezza di competenza

Una insicurezza diffusa esige una risposta di sicurezza partecipata: più si diffonde il disagio dovuto alla percezione del pericolo, più bisogna attrezzarsi per rendere capillare e condivisa la risposta delle Forze di Polizia.

Già nel 2001, l’innovazione legislativa in materia, ha delineato il sindaco quale naturale destinatario dell’azione di sicurezza partecipata: ed il sindaco ha assunto anche in virtù dei più recenti provvedimenti, una figura centrale nella gestione della sicurezza urbana, quella funzione cioè di conservazione dell’ordine in ambito metropolitano che si occupa principalmente dei reati di microcriminalità e dei comportamenti illeciti o borderline, quali l’imbrattamento dei muri, i comportamenti sconci, l’adescamento o l’accattonaggio.

Vi è in proposito una copiosa produzione di leggi e di ordinanze che tenta di farne nuove figure di reati o comunque oggetto di intervento da parte delle polizie locali.

I risultati sin qui emersi testimoniano la validità del modello di sicurezza partecipata: con l’avvertenza però che occorre correggere gli eccessi, delineare potestà ma anche responsabilità e, contestualmente, insistere nel potenziare gli esperimenti positivi.

Correggere gli eccessi; in alcune aree del nostro Paese, in particolare nel nord-est si è registrata, qualche volta, la tendenza ad usare i poteri del sindaco quasi come per costruire una ulteriore forza di polizia a livello locale.

C’è chi in sostanza ha pensato di avvalersi delle innovazioni legislative per creare una Polizia di Stato a livello comunale, con compiti tipici della Polizia di Stato e persino con strumenti ordinari della stessa. Creando ulteriori incertezze sul coordinamento tra le Forze

di Polizia.

C’è chi ha dotato la polizia municipale delle stesse armi in dotazione alla Polizia di Stato; c’è chi ha creato corpi di intervento speciale equiparabili ai Nocs o ai Gis e c’è persino chi ha assunto un agente del Mossad israeliano come istruttore per gli agenti di polizia municipale.

C’è in questi tentativi la tendenza a sostituirsi, a livello locale, soltanto all’espletamento della funzione tecnica di polizia, la fase dell’intervento per intenderci. Forse perché è quella che più paga in termini di immagine, astenendosi però rigorosamente dall’assumere la conseguente responsabilità.

Ecco noi riteniamo che il processo debba essere inverso: partecipare alla sicurezza vuol dire per noi innanzitutto rispettare le competenze già stabilite per legge ed attribuite inequivocabilmente alle Forze di Polizia statali; poi vuol dire attivarsi su quei fronti che l’azione di polizia in senso classico non può occupare.

Penso per esempio alla bonifica dei luoghi disagiati, alla costruzione di strutture ricettive per i bisognosi, al recupero e al potenziamento delle infrastrutture. Vuol dire infine evitare ulteriori duplicazioni, sprechi ed intralci nell’espletamento dell’azione di polizia.

Non è ammissibile, come purtroppo ancora oggi avviene, che agenti di polizia municipale siano occupati in attività di intercettazione telefonica per contrastare un traffico di stupefacenti mentre le volanti vengono impegnate a rilevare gli incidenti stradali.

Tutto questo vanifica ogni possibilità di migliorare il sistema ed azzera i migliori propositi sul campo. 

5. L’incertezza delle ronde

Certo, anche la partecipazione alla sicurezza ha un limite: ben venga il contributo dei sindaci, quali rappresentanti in tempo reale ed in modo concreto dei cittadini su una porzione di territorio del Paese.

Non ci convince invece l’intenzione, che aleggia persino nelle aule parlamentari, di attribuire funzioni di polizia a cittadini privati organizzati in gruppi. Noi siamo stati tra i primi ad invocare la collaborazione dei cittadini. Ma da qui alla delega tout court c’è una bella differenza.

Va detto chiaramente senza mezzi termini e senza possibilità di equivoco: la delega dell’attività di polizia al cittadino è il fallimento o meglio la rinuncia da parte dello Stato ad una delle sue funzioni essenziali ed imprescindibili.

La tutela del cittadino deve restare affare dello Stato: nessuna mediazione su questo tema è possibile.

In nessun modo il Siulp accetterà la logica di questa rinuncia di nome o anche solo di fatto.

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6. Sicurezza pubblica e sicurezza urbana

Forse già in quello che abbiamo detto ci può essere una risposta ad un quesito che specie negli ultimi tempi ci poniamo: ma esiste davvero ancora oggi una sicurezza “unica”, un problema cioè che riguarda contestualmente e al medesimo modo tutte le porzioni del nostro territorio o siamo già in una fase in cui parlando di sicurezza, parliamo di due problemi ben distinti, che richiedono pertanto risposte differenziate ed investimenti differenti?

C’è già chi ha distinto tra un problema di sicurezza pubblica ed uno di sicurezza urbana.

È un concetto che va ben oltre la distinzione storica tra macro e microcriminalità, concetto che oggi è in buona parte da ritenere sorpassato soprattutto dalle contiguità sempre più ricorrenti tra le due forme di crimine, e dall’osservazione che per una percezione di sicurezza addirittura la micro diventa un problema di valenza pari a quello della macro.

Il nuovo concetto presuppone due fronti diversi: uno relativo all’ordine e alla sicurezza pubblica intesi come il risultato di una serie di azioni che permette la pacifica convivenza e la perfetta osservanza delle leggi sul territorio nazionale; uno relativo alla sicurezza personale del cittadino, strettamente correlata alla sua quotidiana esistenza nella realtà media italiana che è quella dei centri urbani.

Differenti i fronti, differenti le risposte.

Funzioni di polizia centrale, statale con competenza generale da una parte: funzioni di polizia locale, territoriale calibrata su esigenze particolari del territorio dall’altra.

7. Attualità della 121

Come rispondiamo a questa duplice domanda e soprattutto con quale modello di polizia intendiamo rispondere?

Domanda scomoda, me ne rendo conto ed impegnativa: abbiamo un modello di Polizia di Stato che è stato al passo con i tempi per 27 anni.

Riteniamo che la 121 sia stata una legge eccezionale, di valenza storica, così come di valenza storica è stata la legge Pio La Torre per il contrasto alla mafia, o la legge Reale per il contrasto al terrorismo degli anni ’80.

Riteniamo che gli indiscutibili successi della Polizia di Stato in questi trent’anni siano il frutto di questa legge che ha creato un modello di polizia più moderno, più democratico, più vicino alle reali esigenze dei cittadini.

E riteniamo anche, che l’attestato di pubblica stima che i cittadini italiani attribuiscono ogni anno alla Polizia di Stato, ponendola tra le istituzioni più attrezzate del Paese, sia da attribuire agli sforzi costanti di quanti hanno creduto e lottato per il nuovo modello di polizia disegnato nel 1981.

Ma ora, dinanzi alla nuova domanda di sicurezza riteniamo che sia arrivato il momento di rivedere la 121, potenziando gli strumenti in essa previsti, annullando i percorsi che finora non hanno portato da nessuna parte.

Riteniamo che sia un atto dovuto per tutti coloro che abbiano davvero a cuore lo stato della sicurezza nel nostro Paese.

8. Il riordino delle carriere: per una polizia più moderna, più efficace

Da anni il Siulp è impegnato per rendere possibile questo sforzo di adeguamento del nostro modello alle esigenze odierne della sicurezza.

I passaggi fondamentali sono due: il primo consiste nel fatto che la nostra società è caratterizzata da una innovazione continua e velocissima.

Ne deriva che un modello di polizia di oltre trent’anni non può più essere considerato attuale per la società odierna.

Il secondo è che qualsiasi innovazione che coinvolge la struttura e l’organizzazione del lavoro, debba partire dalla valorizzazione della risorsa umana.

Oggi il messaggio che vogliamo lanciare è questo: quando noi parliamo e pensiamo ad un riordino delle carriere non lo facciamo per un motivo “egoistico” di ambizione personale; noi lo facciamo perché un riordino è fondamentale per meglio organizzare le professionalità esistenti, per migliorare il modello per essere più vicini ai cittadini.

Noi vediamo nel riordino lo strumento più incisivo per migliorare la sicurezza: e diamo anche riscontro di questa nostra convinzione.

Qualche anno fa, anche allora il Governo era di centro-destra, c’è stata la possibilità di pervenire in tempi rapidi ad un riordino delle carriere.

Ma abbiamo respinto quello schema di riordino semplicemente perché non disegnava un nuovo modello di polizia, mantenendo una stretta contiguità, negli assetti e nella gerarchia, con quel mondo militare, che è stato il nostro sito originario. Ma che abbiamo abbandonato da tempo nella convinzione che solo un modello civile può essere la base di partenza per una forza di polizia moderna e vicina al cittadino.

A questo punto la nostra proposta fondamentale sul riordino delle carriere è la seguente:

dobbiamo azzerare o ridurre al minimo possibile gli influssi del modello militare sull’organizzazione del nostro lavoro e lavorare essenzialmente su due nuclei centrali che devono essere considerati la base di ogni sviluppo.

La nuova Polizia di Stato deve avere al proprio interno un settore di investigatori e di operatori addetti al controllo del territorio, alla Polizia Giudiziaria e al contrasto delle organizzazioni criminali; ed un settore di esperti dell’ordine pubblico, professionisti formati e preparati per fronteggiare l’esigenze delle piazze, degli stadi e dei fenomeni connessi.

Per dirla con uno slogan, l’innovazione migliore è quella ferma nei valori ma flessibile nelle strategie.

9. Le Forze di Polizia a competenza generale

Ma il riordino da solo non basta: occorre mettere mano al delicato meccanismo del coordinamento tra le Forze di Polizia.

Secondo i dati di Eurostat, pubblicati un anno fa, in Italia il numero complessivo degli appartenenti alle Forze dell’Ordine è di 329.012 unità; con una media di 561 agenti ogni 100 mila abitanti.

Quasi il doppio del Regno Unito (266) di gran lunga superiore a Germania (300) e Francia (385), e saremmo secondi soltanto alla Grecia nella classifica della Ue.

Nel conteggio però sono comprese anche Forze di Polizia ad attività specializzata come la Guardia di Finanza, addetta principalmente alla lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio, la polizia penitenziaria, che opera in seconda battuta sul territorio della sicurezza assicurando vigilanza e controllo ai detenuti e agli internati, e il corpo forestale che ha una competenza ancora più particolare.

A ciò si aggiunga il fatto che le due Forze di Polizia a competenza generale cioè la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri i cui organici complessivamente dovrebbero ammontare a quasi 232 mila unità, lamentano un vuoto in organico di quasi ventimila unità.

Tenendo presente che gli organici sono stati fissati nel 1989 e che nuove competenze sono state aggiunte in questi venti anni alle Forze di Polizia (si pensi per esempio alle decine di uffici e nuove questure che sono nate nel frattempo con l’istituzione delle nuove province, alla Dia, alla polizia informatica, al contrasto della criminalità straniera, alle competenze sull’immigrazione), il quadro complessivo appare abbastanza preoccupante.

C’è quindi un problema di organici che da tempo attende risposta: certo non aiuta la necessità di contenere la spesa pubblica, alla quale è da ascrivere la sospensione delle assunzioni degli aspiranti poliziotti provenienti esclusivamente dalla Forze Armate.

E c’è un problema di impiego.

Un sistema stratificato di legislazione attualmente vigente, che in qualche caso risale addirittura a un centinaio di anni fa (il TULPS che ancora regola molti aspetti della Pubblica

Sicurezza risale per esempio al 1931), impone ancora oggi un pesante fardello di attività burocratiche all’operatore di polizia.

Si discute talvolta della necessità di mettere gli operatori su strada: trascurando però di

fatto che sono le leggi ad imporre ai poliziotti di stare in ufficio per occuparsi del rilascio di licenza del controllo degli esercizi pubblici, delle istruttorie relative ai passaporti ed ai permessi di soggiorno e persino della somministrazione di alcolici nei bar.

Sono attività che, queste sì possono essere delegate ad altri soggetti istituzionali o addirittura privati.

Qui sarebbe gradito un intervento legislativo che metta ordine nel caos e solo dopo si può realmente parlare di un recupero concreto dei poliziotti a funzioni di polizia.

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10. L’attività delle Forze di Polizia

Ma cosa davvero ogni giorno fanno le Forze di Polizia a competenza generale?

Il fardello della burocrazia appesantisce notevolmente il lavoro quotidiano: le recenti riforme che hanno interessato gli impiegati civili dell’Amministrazione dell’Interno e la carriera prefettizia, ha creato ulteriori problemi di difficilissima soluzione: i poliziotti sono stati mandati a sostituire in incarichi burocratici non dirigenziali ma esecutivi il lavoro che prima veniva svolto sia dagli impiegati civili oggi diventati dirigenti, sia dai funzionari di prefettura, oggi grazie alla riforma inquadrati in ruoli di valenza superiore a quella del ruolo medio della Polizia di Stato, cioè quello degli ispettori.

In pratica non solo il lavoro burocratico è aumentato, ma ha assorbito ulteriori poliziotti sottraendoli all’attività tipica di polizia.

Poi c’è il fronte impegnativo dell’ordine pubblico, che assorbe ingenti risorse umane di polizia e carabinieri: ancora oggi una giornata di calcio comporta l’impiego di oltre il 15% della forza nazionale disponibile, ed è un costo sul quale bisogna francamente intervenire.

Non è più tempo di lussi e di sprechi per la sicurezza.

Le Forze di Polizia dedicano il residuo “tempo libero” all’emergenza di turno (contenimento della criminalità rumena, sgombero dei campi nomadi, controllo dello sfruttamento dei minori, contrasto delle pedofilia tramite web) o all’emergenza mediatica (operazioni estive di controllo del territorio che ben poco servono al controllo e molto servono all’immagine di chi le ha ideate, gestite, propinate sui media). Si capisce pertanto che rimane ben poco per l’attività che il cittadino vorrebbe fosse svolta in maniera ordinaria dalle Forze di Polizia. E qualcuno dovrebbe a questo punto chiedersi come fanno poliziotti e carabinieri a produrre ancora risultati così importanti sul fronte della lotta al crimine.

11. Un miracolo italiano: aumentare la sicurezza tagliando i fondi alla medesima

Forse è un miracolo: fatto sta che non siamo messi tanto bene se non si interviene sui nodi reali del problema sicurezza.

Ma intanto, però, si taglia: si taglia sugli stipendi e sugli accessori degli uomini e delle donne delle Forze di Polizia, si taglia sugli strumenti di lavoro, sui mezzi, sull’informatica.

Si taglia ancora sugli organici: nella sola Polizia di Stato circa 1500 persone vanno in pensione ogni anno e negli ultimi tre anni è stato bandito un concorso per assumerne poco più di 500 unità.

Si taglia e si spera in un miracolo del tutto italiano: che si possa aumentare il livello di sicurezza tagliando gli organici ed i fondi per la stessa.

Ma questo non è un miracolo possibile: è la cronaca di una catastrofe annunciata, i cui effetti saranno principalmente a carico del cittadino: ci sono questure, come quella di Roma che non riescono a mettere in campo, alcuni giorni, neanche la metà degli equipaggi necessari per garantire il controllo del territorio.

E ogni “volante” non è più composta da tre uomini come era un tempo, ma da due.

Domanda: davvero in questo modo si fanno gli interessi del cittadino?

12. Un miracolo auspicabile: il coordinamento tra le Forze di Polizia

Nessuno parla di un problema serio che esiste nel nostro Paese da quando esistono le Forze di Polizia e che è diventato ormai un vero e proprio tabù, una cosa di cui nessuno può davvero parlare: la mancanza di un coordinamento reale tra le Forze di Polizia ovvero per dirla, con parole puntuali e brutali, il frazionamento tra le Forze di Polizia.

Non che siano mancati i tentativi: tanti, frequenti, a volte innovativi e davvero concreti, altri poco coraggiosi e di facciata.

C’è chi dice che la pluralità tra le Forze di Polizia è un bene prezioso della nostra democrazia, c’è chi dice quindi che più siamo e meglio stiamo.

C’è chi dice infine, a dire il vero, non così chiaramente come lo riferisco io, che è un bene che nel nostro Paese ci siano più Forze di Polizia, così l’una può controllare l’altra e nessuna può avere da sola tentazioni di autonomia assoluta.

E quest’ultima teoria mi sembra francamente la meno condivisibile di tutte.

Fatto sta che ogni giorno sul territorio nazionale, con tutti i problemi della sicurezza da affrontare e con tutte le carenze di organico e di mezzi, ci sono due Forze di Polizia a competenza generale ognuna delle quali si muove come se fosse l’unica in campo: indipendentemente dall’azione dell’altra, per usare un generoso eufemismo.

Sembra evidente a volte che ogni forza di polizia abbia a cuore esclusivamente la propria immagine, il proprio successo tendendo a riempire ogni spazio di possibile azione.

Eppure la frammentazione del fronte, la sovrapposizione anche geografica delle competenze non sembra attirare eccessivamente l’attenzione del legislatore e del Governo, quasi si trattasse di problema secondario e non centrale.

La differenza rispetto a noi è questa: per noi la questione è centrale, ed è la madre di tutte le questioni: non ci possono essere alibi, non si può più perdere tempo: per evitare il frazionamento tra le Forze di Polizia occorre un coordinamento reale, puntuale, ben definito.

Le Forze di Polizia hanno bisogno di un coordinamento ed hanno bisogno di un coordinatore che, sul fronte della sicurezza pubblica, non può essere altri che il Capo della polizia: non della Polizia di Stato, ma della polizia cioè delle forze di polizia. Il quale, non a caso, è denominato anche e non solo Capo della Polizia, ma anche Direttore Generale della Pubblica Sicurezza.

Il Siulp ritiene che bisogna proseguire sulla strada del coordinamento reale anche riproponendo quei piani di coordinamento tra polizia e carabinieri che soprattutto negli anni ’90 sono stati varati ma subito dopo dimenticati: il Siulp ritiene che sia urgente lavorare su un assetto più razionale, che tenga conto della realtà esistente delle tradizioni storiche e della presenza sul territorio effettiva di polizia e carabinieri.

La ripartizione ottimale sarebbe quella che assegna alla Polizia di Stato la competenza nelle grandi aree metropolitane e nei capoluoghi di provincia, e ai carabinieri la competenza sul restante territorio.

Non perché la città sia più importante: ma perché l’Arma dei Carabinieri ha sviluppato negli anni un effettivo controllo del territorio tramite una capillare distribuzione nel Paese, ponendosi come l’unica forza di polizia a livello europeo che vanta oltre cinquemila strutture sul territorio nazionale.

Mentre la Polizia di Stato da decenni si è occupata prevalentemente dell’ordine pubblico e quindi delle aree in cui l’autorità provinciale di Pubblica Sicurezza esercita la sua delicata funzione: i capoluoghi di provincia ed i grandi centri urbani che già ospitano i commissariati distaccati di polizia.

Diciamo che la struttura posta alla base della Polizia di Stato è il commissariato, così come quella posta alla base dell’Arma dei Carabinieri è la stazione: non sempre per ottimizzare occorre coltivare l’illusione del nuovo.

Basta a volte il coraggio di proporre la razionalizzazione delle risorse già esistenti.

Conclusioni

Il momento è triste: ogni Governo fa la politica dei “due tempi”, chiedendo sacrifici nel primo tempo, ben sapendo che difficilmente ce ne sarà un secondo, quello dei benefici.

Non è un problema di questo Governo, sarà un problema di tutti i governi che verranno nei prossimi anni.

Bisogna, allora, fare i conti con quello che si ha in tasca, con gli organici oggi disponibili, sfuggendo semmai alla logica della ricetta miracolosa e del colpo di genio.

Un riordino si può e si deve fare perché grandi sono le professionalità oggi esistenti tra le Forze di Polizia, grazie anche, consentitemi la precisazione, al lavoro costante, vigile e produttivo del nostro sindacato: sarebbe uno spreco inammissibile non investire su questo patrimonio di esperienza, di conoscenza, di mestiere costruito nel corso della nostra storia da tanti uomini e da tante donne con tanti sacrifici e con tanta passione.

Un coordinamento reale si può e si deve fare, con assoluta urgenza, contro ogni gelosia di corpo, contro ogni rivalità di comando generale, contro ogni apparato burocratico che resiste all’innovazione.

Vorrei che qualcuno ora avesse il coraggio di affrontare davvero l’argomento: i cittadini attendono risposte.

Grazie.

 


 

Rassegna stampa

VIMINALE: MANTOVANO DOMANI A CONVEGNO SIULP ROMA, INTERVERRANNO MANGANELLI, BONANNI, MINNITI ED EMILIANO

Roma, 26 ott. (Adnkronos) – Alfredo Mantovano, Sottosegretario all’Interno con delega alla pubblica sicurezza, prenderà parte domani dalle 15.30 a Roma (Centro Convegni Cavour -Palazzetto delle Carte Geografiche, Via Napoli 36), al convegno organizzato dal Siulp dal titolo ‘‘Paura, incertezza, disagio sociale. Ottimizzare le risorse per rispondere al crimine’’. All’appuntamento interverranno anche Antonio Manganelli, Capo della Polizia, Felice Romano, Segretario generale Siulp, Raffaele Bonanni, Segretario Generale della Cisl, Marco Minniti, già Vice Ministro dell’interno, Giuseppe Roma, Direttore generale del Censis, Michele Emiliano, Sindaco di Bari.

SICUREZZA: MANGANELLI, FORMARE FORZE DI POLIZIA LOCALE

(AGI) – Roma, 27 nov. – “La Polizia locale deve formarsi e sapersi integrare per poter offrire alle forze di Polizia dello Stato il miglior prodotto che rientra nella loro sfera di competenza”. E’ quanto ha dichiarato il Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, intervenuto questo pomeriggio ad un convegno organizzato dal Siulp sul tema della sicurezza.

“La sicurezza urbana non ha nulla a che vedere con la sicurezza pubblica – ha detto il prefetto Manganelli – i sindaci non possono prendere il posto dei questori o dei prefetti. La Polizia locale non ancora formata per partecipare alla sicurezza cosiddetta integrata. Proporrò al Ministro dell’interno di poter formare la Polizia locale nelle nostre scuole in modo che siano in grado di offrire una collaborazione seria alle Forze di Polizia”.

Il capo della Polizia ha voluto però sottolineare che “non va mai perso di vista chi è il responsabile della sicurezza, ovvero il Ministro dell’interno”. Nel corso del suo intervento il prefetto Manganelli ha poi fatto riferimento agli agenti di Polizia impiegati in lavori di ufficio. “Negli uffici – ha detto il capo della Polizia – i poliziotti svolgono delle attività in proprio di supplenza per ovviare alla carenza di organico dell’impiego civile. Bisognerà recuperare personale civile”.

POLIZIA: MANGANELLI, NASCE CENTRO FORMAZIONE PER TUTELA ORDINE PUBBLICO, ‘OCCORRE UNA SICUREZZA PARTECIPATA, CHE METTA IN RETE GLI SFORZI DI TUTTI’ 

Roma, 27 nov. – (Adnkronos) – ‘‘Occorre una ‘sicurezza partecipata’, che metta in rete gli sforzi di tutti, ottimizzare le risorse per rispondere al crimine, alla ‘paura della paura’, che molte persone avvertono oggi’’. E’ quanto ha dichiarato il Capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, intervenendo oggi al convegno ‘Paura, incertezza, disagio sociale.

Ottimizzare le risorse per rispondere al crimine’, promosso e organizzato a Roma dal Siulp.

Il Capo della Polizia ha annunciato che il prossimo 3 dicembre inaugurera’ ‘‘il primo centro di formazione per la tutela dell’ordine pubblico. E’ vero – ha aggiunto – L’ordine pubblico si impara in piazza. Ma esistono anche strategie e una scuola’’. Nel corso del suo intervento, il prefetto Manganelli ha ancora sottolineato quanto sia importante per i cittadini la sicurezza urbana. ‘‘Bisogna scendere in campo contro il degrado, l’ accattonaggio, l’abusivismo. E importante è la responsabilizzazione delle polizie locali, che devono essere formate adeguatamente per sapersi integrare’’.

SICUREZZA: MANTOVANO, TAGLI A SETTORE COPERTI CON BENI CONFISCATI

Roma, 27 nov. – (Adnkronos) – ‘‘La razionalizzazione delle risorse è un imperativo per ogni settore della pubblica amministrazione, in particolare per la sicurezza. A fronte ad un taglio che ha interessato tutti i ministeri, per far fronte ad una crisi internazionale, è stata individuata come fonte di finanziamento dell’ intero comparto tutto ciò che viene dai beni confiscati ed in particolare da tutto ciò che è immediatamente disponibile in termine di liquidità’’. E’ quanto ha dichiarato il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, a margine del convegno, promosso dal Siulp a Roma, ‘Paura, incertezza, disagio sociale’.

‘‘Le prime previsioni sono rassicuranti, – ha proseguito Mantovano – quello che sarà a disposizione delle forze di polizia permetterà non soltanto di colmare i tagli che hanno interessato il settore, ma probabilmente di andare in attivo’’.

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